12 Giugno 2005 - Pura (Svizzera)

Il«miracolo» Michelangeli

Colmar, Marzo 2005 - di Marianna Chelkova

Mosca, 1964. Ho otto anni. Abitiamo nel centro dellacittà, in un appartamento comunitario che condividiamo con altre cinque famiglie. C’è mio padre, mia madre, la nonna materna e un piccolo pianoforte verticale che i miei genitori suonano a quattro mani. E soprattutto c’è la collezione di dischi di mio padre che occupa, con grande disperazione della mamma, tutto lo spazio vitale. Papà, musicista autodidatta e melomane appassionato, è un collezionista accanito. Il suo miglior amico, che io chiamo “zio” Guénnadi, lavora a Melodia, l’unica casa musicale dell’Unione Sovietica, dove ha un ruolo chiave: è il responsabile delle importazioni. Gode cioé del privilegio raro di andare in Occidente dove ha accesso a tutti i dischi che sono introvabili da questa parte della cortina di ferro.

Mio padre passa la vita ad ascoltare dischi. Spesso ci rechiamo a casa di Guénnadi che ha una raccolta molto più importante della sua. Io ho il permesso di accompagnarlo a due condizioni: stare in silenzio e non toccare i dischi. Ricordo con grande esattezza la prima volta che ho udito una registrazione di Arturo Benedetti Michelangeli. Guénnadi era ritornato dall’Italia e voleva far vedere a mio padre i suoi ultimi acquisti. “Ascolta questo pianista! Non hai mai sentito niente di simile! È fantastico!” Mio padre, molto più calmo dell’assai esuberante amico, mi prende sulle ginocchia e lo ascoltiamo insieme. Non riesco più a rammentare quali brani ho sentito quella sera, a Mosca, nel minuscolo appartamento di Guénnadi pieno di dischi fino al soffitto. Però ricordo perfettamente ciò che ho provato: ero letteralmente affascinata. Quel modo di suonare, quel tocco cristallino, incredibile, faceva l’impressione che la musica sgorgasse da sola dal pianoforte… mai avevo udito niente di simile! E tuttavia avevo già assistito a numerosi concerti di Richter, di Guilels, di Youdina e ero stata cullata dalle musiche di Schnabel, di Edwin Fischer e di Glenn Gould…
Mio padre sembrava in stato di choc. “Chi è?” “Da dove salta fuori?” Guénnadi era estasiato dall’effetto prodotto. “Il mese prossimo verrà a suonare a Mosca. Prima di tutto non mancate al suo concerto! Si chiama Arturo Benedetti Michelangeli”. Questo nome così “esotico” per le orecchie di una ragazzina moscovita suonava come l’invito ad un viaggio meraviglioso, Arturo Benedetti Michelangeli, aveva un suono talmente bello, avevo voglia di ripeterlo ad alta voce, di cantarlo, come sapessi già che quel musicista eccezionale sarebbe diventato la più grande passione musicale della mia vita.

 

Il mitico salone del Conservatorio di Mosca. Là mi trovo come a casa mia, ci vengo ogni settimana, i miei genitori conoscono tutti, perfino le maschere e le vecchie guardarobiere. Quella sera sono particolarmente eccitata. Mio padre ed io stiamo per ascoltare il pianista italiano dal nome che suona come un’aria di bel canto… Faccio fatica a stare calma e perdo continuamente il grande nastro bianco che mio padre cerca di farmi stare sui capelli. Finalmente il momento tanto atteso arriva. Arturo Benedetti Michelangeli entra in scena. Mi sembra molto grande e molto bello. Saluta la sala. Sembra molto concentrato, non sorride. Si siede al piano.Aspetta qualche secondo. Fissa il suo strumento come se volesse confidargli un segreto.Questa attesa, comunque molto breve,mi sembra interminabile. Il pubblico moscovita, uno fra i più grandi estimatori di musica al mondo, è meraviglioso: nessun brusio, nessuno tossicchia. Ho la sensazione che qualcosa di molto importante stia per accadere. Arturo Benedetti Michelangeli posa le mani sulla tastiera. L’unica parola che mi viene in mente a quarant’anni di distanza da quel récital, è la parola “miracolo”.

Suona la Terza suonata di Beethoven. Non muove un muscolo. Guardare le sue mani è estremamente affascinante. Siamo seduti molto vicino a lui e ho l’impressione di essere travolta da quella musica e da quelle esecuzione di una trasparenza da mozzare il fiato.Mi dimentico di respirare… Ho soltanto otto anni. Ma capisco perfettamente ciò che mio padre vuole dirmi quando, durante l’intervallo, si piega verso di me e mi sussurra all’orecchio, come se parlare a voce alta potesse rompere l’incantesimo, “non dimenticare mai il nome di questo pianista, è un genio!”

 

Dopo essermi trasferita in Francia ho avuto la grande fortuna di poter assistere a parecchi concerti di Arturo Benedetti Michelangeli. Non parlerò neppure di quelle registrazioni alcune delle quali sono per me un elemento vitale dell’esistenza come l’aria che respiro (a un punto tale che ascolto malvolentieri un’interpretazione diversa dalla sua di numerose composizioni, come per esempio il Secondo Scherzo di Chopin). Anche se il recente DVD di un récital a Lugano consente di comprendere un po’ meglio il suo carisma e l’affascinante presenza sulla scena, niente potrà sostituire l’emozione che si provava ascoltandolo suonare dal vivo. Secondo me Arturo Benedetti Michelangeli è tanto inclassificabile quanto inimitabile. Il suo tocco è riconoscibile fin dalle prime battute, la purezza di suono della sua esecuzione di una perfezione cristallina rimarrà per sempre un mistero. Egli trascina gli ascoltatori in un vortice senza fine all’interno del processo creativo. Il suo modo di considerare l’interpretazione era unico e la sua arte assoluta. I colori e le sfumature che otteneva erano semplicemente straordinari.

Mi ricordo ancora di quell’incredibile Terzo concerto di Beethoven a Parigi con il giovane Tilson-Thomas e la London Symphony Orchestra oppure del Concerto in sol di Ravel (diretto da Alain Lombard) che sembrava avere semplicemente raggiunto la perfezione. Avevo la sensazione di riscoprire le partiture che credevo comunque di conoscere a memoria! E quel famoso récital dell’11 novembre 1978 alla salle Pleyel… le risorse tecniche di Arturo Benedetti Michelangeli erano infinite, ma egli sapeva oltrepassare il virtuosismo per arrivare all’essenziale, la Musica.

 

Arturo Benedetti Michelangeli rimane per me l’incarnazione stessa dell’integrità e dell’autenticità nella musica. Un artista atipico perennemente alla ricerca dell’Assoluto e dell’interpretazione “ideale”, un perfezionista estremamente raffinato il cui stile sembra essere frutto della sintesi tra intuizione e conoscenza perfetta dello spartito.

 

Il 12 giugno 1995 non sono riuscita a trattenere le lacrime. Ho anche rivolto un pensiero a mio padre, venuto a mancare come lui nel mese di giugno… e mi sono sentita doppiamente orfana.

 

Marianna Chelkova

"chargée de programmation musicale à Radio Classique"

"chargée de recherches musicales du Festival International de Colmar et des Rencontres internationales d'ensembles de violoncelles de Beauvais"