12 giugno 1998 - di Mauro Pedrotti, Direttore Coro della SAT

Naturali armonie

Una rivoluzione: si può definire così, senza paura di esagerare, l'arrivo di Arturo Benedetti Michelangeli nell'elenco degli armonizzatori del Coro SAT. Siamo negli anni '50, Luigi Pigarelli ed Antonio Pedrotti tengono saldamente in pugno l'orientamento artistico del coro, il quale si attiene volentieri, salvo sporadiche, audaci divagazioni - come l'elaborazione in modo minore di "Montagnes valdotaines" ad opera di Teo Usuelli o "Soreghina", geniale invenzione di Aladar Janes - alla via maestra tracciata dai due senatori. Che era, del resto, il naturale proseguimento del sentiero che gli stessi primi cantori avevano intrapreso nel 1926, dando vita al coro. Pigarelli e Pedrotti - il primo specialmente - erano proprio partiti da quegli arrangiamenti "ad orecchio" nati lì per lì, ricchi tanto di innata musicalità quanto di ingenuo entusiasmo.

 

Le armonizzazioni di Michelangeli, e qui sta il senso del loro effetto "rivoluzionario", non avrebbero certo potuto nascere spontaneamente, piene come sono di raffinati effetti armonici, inseriti in una struttura polifonica lontanissima dal modello cui i cantori erano abituati. Perché anche Michelangeli, dopo i senatori, aveva intuito le possibilità esecutive del coro, adattandole però alla propria sensibilità ed alle proprie esigenze artistiche. Rivoluzione, quindi, ma affrontata e vissuta con naturalezza, come se il grande pianista ed il coro "dovessero" incontrarsi e l'avessero sempre saputo. Bastava un caso, un nuovo impulso a quella prima scintilla che, scoccando a Brescia nel 1936, aveva provocato il primo incontro premonitore. Ed ecco che, come in un magico disegno i cui particolari si materializzano tutti uno dopo l' altro, guizza la seconda scintilla: nel 1949 Michelangeli è chiamato al conservatorio di Bolzano, per tenervi una scuola di perfezionamento. Nella stessa città vive e lavora Enrico Pedrotti, uno dei fratelli fondatori del Coro della SAT: un'altra parte del disegno magico si materializza. La prima scintilla di Brescia ha dato i suoi frutti, favorendo un rapporto umano ed artistico che, da allora, non è mai cessato.

 

Il nuovo incontro tra il maestro ed Enrico Pedrotti - l' inizio di una frequentazione assidua, di una stima reciproca e di un'amicizia sincera - produce le prime armonizzazioni, costruite su una serie di bellissimi canti piemontesi, lombardi e provenzali: La pastora e il lupo, La bella al mulino, La scelta felice, Lucia Maria, Il maritino, La mia bela la mi aspeta.

 

Create le partiture, spetta ora al coro tradurle in suoni. La prima, ardua prova affrontata è proprio La pastora e il lupo. È il 1954. Non ho vissuto direttamente, per ragioni anagrafiche, quel periodo del coro, ma ho potuto assorbirne il fascino attraverso i racconti dei protagonisti, mio padre, i miei zii e pochi altri personaggi "storici". Mi pare infatti di essere lì, nello studio fotografico dei fratelli Pedrotti (che allora ospitava anche il coro dopo che, per anni, le prove si erano tenute in casa mia, in via Grazioli a Trento), a sentire il contrasto tra le esclamazioni di meraviglia di chi ha una preparazione musicale tale da consentire l' immediata percezione della bellezza di quelle annonie, ed i mugugni e brontolii dei meno aperti alle novità. Questi ultimi, per la verità, meritano pure qualche attenuante! Siamo infatti lontanissimi dalla placida omofonia e dai comodi accordi della "Pastora" di Pigarelli con cui i coristi avevano convissuto dalla fondazione del complesso sino al primo dopoguerra. Stesso racconto, stessi personaggi: la pastorella, l' agnello, il lupo, il cavaliere, il salvataggio della vittima, la sconfitta del lupo, il bacio quale "prezzo" da pagare (anche se la versione trentina qui diverge chiaramente e chiude con la morte dell'agnello ed il pianto sconsolato della bella pastora). Ma le differenze sugli aspetti musicali sono enormi. Nella melodia, nella struttura, nel ritmo, nell' armonia. Quell'atmosfera sognante così palpabile nel canto piemontese è una porta aperta attraverso la quale Michelangeli si lancia con l'energia di chi da tempo aveva qualcosa da dire ed ha finalmente trovato il modo di scaricarsi, di esprimere le proprie emozioni artistiche al di fuori del pianoforte, dei suoi prediletti Chopin, Debussy, Ravel.

 

Perché?


Non è facile rispondere a questa domanda. Gian Paolo Minardi, nel suo saggio sul rapporto tra Arturo Benedetti Michelangeli ed il Coro della SAT, comparso sul recente libro "Coro Sat - 70 anni", osserva come spesso gli sia capitato di notare lo stupore di molti nel vedere il nome del grande pianista associato all'armonizzazione di canti alpini. E ne suggerisce alcune verosimili chiavi di lettura: la predilezione del maestro per quei luoghi ove egli poteva godere del rapporto con la natura e con i suoi suoni (che sono poi i luoghi dove quei canti sono nati); oppure la natura stessa del rapporto con la musica - che è il fine ultimo dell'esecutore - affine nel pianista e nel coro.

 

Quale che sia la risposta, il risultato è straordinario: gli accordi sospesi, le scale cromatiche, il pedale dei bassi, le armonie fissate in una fulgida struttura polifonica, i cambiamenti di ritmo, i timbri voluti da Michelangeli sono un mondo nuovo per il coro, che da parte sua si propone all'Artista come uno strumento duttile ed allo stesso tempo creativo, vivo e vitale, superando agevolmente le perplessità iniziali sull' enorme contrasto, non solo tra le due "Pastore", ma anche tra due modi opposti di concepire il canto popolare.

 

© F.lli Pedrotti Trento - Bolzano

 

Torniamo lì, in sala prove, dove il venerdì sera, tutte le settimane dell'anno, si spostano macchine fotografiche, lampade e treppiedi per far posto ad una ventina di giovani e meno giovani legati da un comune entusiasmo e da una sfrenata passione per la musica. Qualcuno che conosce le note ha diligentemente trascritto dalla partitura originale le parti separate, che vengono distribuite. Un piccolo armonium serve da guida-voce ed ogni reparto si cimenta con l'apprendimento della propria parte, reagendo con finta indifferenza agli intervalli inusuali. Silvio Pedrotti - il direttore del coro - si agita, fa ripetere i passaggi ancora incerti, corregge il ritmo, suggerisce gli attacchi, anche lui sorpreso, attonito, palpitante di fronte a qualcosa di cui intuisce la grandezza con notevole anticipo rispetto agli altri, felice di esserne testimone alla nascita. Poco a poco, il canto prende fonna. Miracolosamente, mugugni e brontolii, perplessità e finta indifferenza spariscono. Resta la musica, la bellezza, l'armonia, l'incanto di un gioiello popolare trasformato in un capolavoro.

 

Qualche volta, il maestro assiste alle prove. Ecco il ricordo di Lino Zanotelli, un protagonista di quella straordinaria esperienza:
"In piedi, sostenendosi il mento con la mano, ad occhi chiusi, con un tenue dolce sorriso, esprimeva grande gioia e soddisfazione, nel sentire la nascita dei suoi canti. Ascoltava in silenzio la fusione delle parti; al termine, con un filo di voce (com'era sua abitudine) quasi timoroso, quasi da non sentire, con un cenno del capo: "Bene!""

 

Ma non c'è solo La pastora. Con La bella al mulino si entra in un'atmosfera nuova, i cui confini non ben definiti sono suggeriti dagli svolazzi della tastiera piuttosto che dal solido, ristretto pentagramma del coro. In Lucia Maria, invece, il pizzicato dei bassi sorregge con lievità la melodia, accentuandone allo stesso tempo la drammaticità che sfocia, nel finale, in tragedia, sottolineata ancora dai bassi con un ultimo accordo che è anche un grido di angoscia. Oppure, ancora, La mia bela la mi aspeta: tre strofe modulate sempre in maniera diversa, quasi seguendo il significato del testo, mentre l'ultimo ritornello chiude con struggente tenerezza sulle parole "Valcamonica del mio cor", che evocano la nostalgia per quei paesaggi selvaggi e silenziosi, tanto cari al Maestro.

 

© F.lli Pedrotti Trento - Bolzano

 

Lo scherzoso canto trentino Le maitinade del Nane Periot, fa da contraltare al dramma della guerra, alla tragedia provenzale. Qui si gioca tutto sul ritmo e sulle coloriture, mentre il testo si snoda tra le lodi cantate della "morosa" del Nane. La melodia passa con naturalezza dai baritoni ai secondi, mentre agli altri reparti è affidato il compito di vivacizzare armonicamente il racconto. Sul finire, poi, un inatteso cambiamento di tonalità (chi mai osava tanto, a quei tempi?) accentua il carattere brillante e "virtuosistico" del pezzo.

 

Il coro vive queste prime esperienze con sincero entusiasmo, dopo le perplessità e le difficoltà iniziali. Tanto che l'idea di fissare su disco anche le ultime, importanti novità (dopo le prime esperienze, negli anni '30 e '40, con il repertorio di base) comincia a farsi strada. Ed infatti, tra il 1956 ed il 1960 escono alcuni "33 giri" con il marchio Odeon, contenenti tutti i canti del "primo periodo" di Michelangeli (comprendono, oltre a quelli citati, La bIonde, La Brandolina e Era nato poveretto). Questi dischi segnano ed esaltano la trasformazione artistica del Coro SAT, ne diffondono le doti interpretative e la fama di complesso orientato verso il canto popolare trattato non più in modo grezzo e "povero", bensì sorretto da un impianto armonico di grande valore musicale (e causano anche le prime critiche dei "puristi", peraltro zittiti perentoriamente da Massimo Mila).

 

Nel 1959 termina il rapporto di Michelangeli con il Conservatorio bolzanino, il Maestro lascia la città e gli incontri con il Coro della SAT si diradano. I nuovi canti continuano però ad arrivare: Entorno al fòch e Le soir à la montagne si aggiungono al grappolo delle prime realizzazioni ed il Coro, ormai passato ad incidere per la RCA, registra con quest'ultima, in diversi LP, tra il 1960 ed il 1969, tutto il patrimonio disponibile siglato ABM.

 

Segue poi una serie di canti trentini, che Silvio Pedrotti propone al Maestro durante le visite estive a Rabbi, nella "baita" dove egli usava trascorrere brevi periodi di riposo e di concentrazione. Il repertorio si arricchisce con Serafin (raffinatissima elaborazione di un canto già di per sè inconsueto per il folclore trentino, in quanto regolato da un ritmo di 5/4), ed ancora con La figlia di Ulalia e Che fai bela pastora: tutti puntualmente registrati, nel 1972, nel settimo LP con la RCA: una fotografia molto cara al Maestro - e, naturalmente, al coro - lo ritrae con in mano quel disco, che prese il nome di Serafin dal canto più rappresentativo del programma.

 

Un intervallo di cinque anni e poi, nel 1977, altre due canzoni, questa volta lombarde: lo vorrei e I lamenti di una fanciulla, che trovano il loro posto d'onore nel nono LP, al quale risponde, tre anni dopo, il disco numero 10 contenente l' ormai immancabile "novità" firmata Michelangeli: Vien moretina, ancora proveniente dal Trentino, che porta, quale inconfondibile firma, un arpeggio finale pianissimo, sospeso come un petalo solitario in quell"'aria fina" evocata dal testo.

 

Nel frattempo il coro ha ulteriormente affinato i propri registri esecutivi ed interpretativi, si è anche parzialmente rinnovato negli uomini ed ha allargato in modo notevole il repertorio, registrando via via i contributi innovativi di musicisti come Renato Dionisi, Bruno Bettinelli, Andrea Mascagni, Giorgio Federico Ghedini, che si affiancano ai gloriosi Pigarelli e Pedrotti, la cui prolificità in termini di canti armonizzati è tuttora insuperata.

 

Segue un periodo di silenzio, in cui sembra che l'inventiva di Arturo Benedetti Michelangeli si sia fermata, come se la genuina bellezza dei primi canti piemontesi, che tanto aveva attratto il Maestro, non potesse più essere rievocata. Invece, un altro canto trentino rinnova il miracolo, nel 1983. Una dolce ninna nanna, semplice e lineare, proveniente dai ricordi di Rosa Pedrotti Daprà - la mia nonna patema - riesce a ridestare in lui il desiderio di riaccostarsi allo strumento che, dopo il pianoforte, ama di più: la voce umana, anzi: la voce del Coro della SAT. Il quale, credendo di avere ormai sperimentato tutte le invenzioni armoniche possibili, rimane invece sbalordito di fronte a quest'ultima creazione: resta la dolce melodia, affidata ad un solista, ma accompagnata da un tenue e sommesso barbaglio di arpeggi e di glissati dei tenori in controtempo, mentre i baritoni e i bassi giocano sul ritmo naturale con calibratissimi ondeggiamenti di semitoni. Tutta l'arte pianistica, l'amore per le sonorità estreme, la poesia di Michelangeli si sono riversati in queste poche righe, che rappresentano anche l' estrema sintesi della sua opera di elaboratore di canti popolari, il suo testamento spirituale, perché sono le ultime che lui ha scritto.

 

Come affronta il coro 'Ndormenzete Popin? Anzitutto, con grande rispetto, quasi intimidito da tanta poesia e dalla bellezza nascosta tra le difficoltà esecutive del pezzo. Poi, mano a mano che la sua essenza viene scoperta, alla timidezza subentra la gioia ed anche un sentimento di orgoglio, quasi un rivendicare con naturalezza che, ecco, proprio così doveva essere, questo egli l'ha scritto per noi, dentro c'è tutta la sua ammirazione per noi, e noi dobbiamo rispondere nel solo modo che, lo sappiamo, sarà apprezzato: con una tensione esecutiva tale da tradurre in puro suono un'idea armonica precisa quanto complessa.

 

Berlino, maggio 1983: il programma di un nuovo disco - diciotto canti - ci impegna per quasi quattro giorni in sala di registrazione. Quando arriva il turno di 'Ndormenzete Popin il direttore di registrazione ed i tecnici sbiancano in volto dopo la prima audizione, nel timore che le difficoltà tecniche ed interpretative del pezzo siano tali da causare lo "sforamento" dei tempi di impiego dello studio. Ma si sbagliano: due sole prove e 'Ndormenzete Popin è nata, come si addice ai veri capolavori.

 

Il Maestro, a cui portiamo la prima copia del disco, apprezza lo sforzo e riconosce la bontà dell'impianto corale; fa però una riserva sui solisti, che a parer suo non rendono con la necessaria dolcezza la tenue semplicità del testo. Da allora, l'idea di ripetere quella difficilissima registrazione, facendo tesoro delle sue osservazioni, è stata continuamente presente in noi, sino a programmarne infine l'inserimento nel CD destinato a celebrare il 70° anniversario di fondazione del Coro, nel 1996. Siamo arrivati tardi, purtroppo, per poter raccogliere la sua definitiva approvazione. Ma la seconda versione di 'Ndormenzete Popin rimane il nostro atto di riconoscenza e di amore verso un grandissimo Artista ed Amico e il nostro omaggio al suo straordinario contributo al canto popolare ed alla musica.

 

NOTA: La versione integrale della seconda versione di 'Ndormenzete Popin può essere scaricata in formato mp3 cliccando qui.